Giorno di chiusura: Aperto solo a pranzo. Aperto a cena nei weekend.
[Da oggi possiamo annoverare nel gruppo di SecondoMe.com anche Numero 6! Questa recensione, nata quasi a richiesta durante l’ultima BlogBeer, è stata pubblicata in origine sul suo blog. Se ancora non lo seguite, fatevi del bene e iniziate a seguirlo!]
La Sora Margherita, prima che un ristorante, è una specie di leggenda.
Un ingresso del tutto anonimo in una delle piazze per cui vale la pena vivere a Roma, piazza delle Cinque Scole (sic), dalle cinque scuole ebraiche che vi si trovavano.
Questa piazza è uno dei pochi resti veri dell’antico ghetto, ed era in origine attraversata dal muro che impediva agli ebrei romani (giudî, in dialetto) di andare in giro dopo il tramonto.
È aperto a pranzo, e per cena solo a fine settimana.
Se volete andare una sera tenete a mente che ci sono due turni, alle 20 e alle 21.30.
C’è posto per sì e no venti coperti, quindi prenotare è obbligatorio, e se potete, evitate anche di tentare di portare la macchina nei paraggi.
Al Ghetto non si parcheggia, fatevene una ragione, meglio una passeggiatina che vi risparmi l’ansia.
All’inizio vi fanno fare la tesserina, se già non l’avete, e poi portano uno dei marchi di fabbrica del posto: il menu scritto a pennarello sulla carta da pane.
I piatti sono di cucina giudaico-romanesca, dicono quelli che se ne intendono, cosa che a me pare una mezza tautologia, dato che i piatti romani originano praticamente tutti dalla tradizione ebraica.
I primi sono disposti “a matrice”, cioè avete i tipi di pasta da incrociare con i sughi tradizionali; sta ovviamente all’intelligenza del cliente non prodursi in accoppiate atroci.
Io ho rischiato un po’ con gli agnolotti cacio e pepe, contando sul fatto che con cacio e pepe viene bene anche anche il plutonio.
I puristi sceglieranno giustamente una pasta lunga, ma anche a me è andata piuttosto bene.
Per quanto riguarda il secondo mi sono lanciato su delle salsicce di manzo, queste veramente da residente del ghetto acquisito alla tavola.
Sono fatte alla piastra, con limone e rughetta, e il sapore diverso della carne le rende qualcosa da provare.
Ho assaggiato anche le polpette al sugo, più classiche, credo fatte con lo zafferano.
Però è sui contorni che voglio spendere qualche parola in più.
Ho preso il regolare carciofo alla giudia, che viene offerto anche come unico antipasto.
Il carciofo alla giudia è un carciofo rovesciato e fritto, e così sembra facile, cos’ha di speciale?
Ha di speciale che le immangiabili foglie, che poi sono i petali, diventano tipo le patatine delle feste delle medie, e quindi del carciofo non si butta via niente.
Poi seguirebbero i dolci, che non ho preso, e che sono in buona parte basati sulla ricotta, come è tipico nel centro sud.
In particolare ricotta più visciole è abbastanza godurioso.
Qualche considerazione al volo.
Il servizio è velocissimo, e il rapporto tra il personale e i tavoli è piuttoto alto, se no nei tempi non ci starebbero.
Non esiste carta dei vini, com’era facile immaginare, solo una simpatica brocca di rosso sicuramente laziale.
Che poi a me sta benissimo, credo che l’unico ambito in cui mi senta regionalista sia il vino rosso.
Ritornando sui contorni, ce ne sono due da raccontare.
Il primo sono i broccoli ripassati, piatto del tutto elementare ma assolutamente decisivo nella crescita di ogni romano.
Nelle analisi del sangue di qualunque abitante della capitale c’è almeno un venti per cento di broccolo.
Se non avessimo la lupa, potremmo tranquillamente usare questa crucifera come stemma, tanto che credo sia l’unico prodotto agricolo coltivato in città, e quando a Roma si vuol dire che una cosa è perfetta, si dice a ciccio de broccolo.
La Sora Margherita è inoltre il primo posto dove trovo gli aranci conditi (perdonatemi il plurale dialettale).
Arance tagliate e condite con olio e sale, e se proprio siete à la page ci potete mettere due olive nere.
Non ho mai capito perché allontanandosi dal GRA diventi un piatto sconosciuto, quando addirittura non susciti sguardi interrogativi come se si parlasse di cibarsi di sorci vivi.
Al contrario, sono spettacolari, e il sugo che resta è qualcosa che fa felice ogni bambino, anche se va per i quaranta come il sottoscritto.
Questo ristorante è anche un modo per mangiare come si faceva una volta, e come si fa ancora a casa, cioè senza essere sommersi inizialmente da tonnellate di antipasti, cosa che ormai pare di regola mangiando fuori.
Lo dico prendendomi tutto il rischio di sembrare un insopportabile passatista, ma a me non è mai piaciuto.
Concludendo, ho speso 32 Euro, per primo secondo contorno.
Le porzioni non sono grandi, ma normali.
Se state cercando un posto per sbomballarvi le transaminasi a due soldi avete sbagliato indirizzo, ve ne posso fornire qualcuno migliore.
Incredibile coincidenza!
Giusto lo scorso sabato, avendo parcheggiato per caso in quella piazzetta, mi sono lasciato trascinare dagli odori provenienti da quella minuscola porta che affaccia sulla piazza, solo per sentirmi dire che era tutto pieno! 🙁
A maggior ragione da segnare nei bookmark, dopo il commento di Ermanno!
qualche tempo fa ho mangiato da “sora margherita” sollecitato un po’ dall’atmosfera che si respira al ghetto e da alcuni commenti probabilmente datati
trovati girando in internet. Tutto molto particolare
per carita’, anche troppo, a parte la clientela che sembrava esattamente quella tipica da ricerca del posto tipico
dove vanno i “normali” con i quali si vogliono condividere modi di vita!!!!!.
Ho Mangiato Pajata-abbacchio al forno-Dolce
Totale euro 38,50, senza alcuna tessera ne ricevuta
Datemi retta e’ veramente troppo per un locale che di caratteristico ormai non ha molto.
Da Felice al Testaccio e’ un’altra cosa